IL THE ALLA MENTA
racconto di Nunzio Cocivera
nunziococivera@tiscalinet.it
Il bianco della tazza da the spiccava in bell’evidenza sul tavolino di marmo
rosso, in sottofondo una soave musica di Mozart, sulla mia sinistra un bel
gatto tigrato addormentato sul tappeto orientale; una lieve brezza di maggio
faceva vibrare le foglie dell’immensa pianta, per me tropicale, mai vista,
tutt’attorno alla pianta un cespuglio di menta spandeva nell’aria un odore
forte.
Lei mi versò il the e disse:
- “Nel pomeriggio è salutare gustare un the caldo, non trova?”
- “Sì”, risposi, “grazie”, mentre pènsavo che a quell’ora non avevo mai bevuto il the, che anzi prendo solo in inverno inoltrato e solo se sto poco bene.
- “Finalmente si è deciso ad accettare il mio invito, sa lo sapevo che lei è diverso dagli altri che mi evitano, credono che sia una iettatrice portatrice di malocchio e disgrazie varie, tutti si toccano passando davanti casa mia, lei no?”
- “No io lo faccio solo quando sono eccitato”, replicai, ma mi pentii subito di averlo detto, così mi scusai per la volgarità.
- “Non fa nulla sa, è normale, dunque lei non è superstizioso, bene ne sono felice, sarà l’occasione per scambiare due parole ogni tanto, le dispiace?”
- “Oh no anche a me fa piacere parlare con qualcuno di tanto in tanto, qui non conosco nessuno, mi distraggo leggendo alla libreria di Pegacity.
- “Da quale località viene, sostituisce il portalettere, vero?”
- “Sì, tre mesi di supplenza dei quali uno è già passato; io sono invece di Librizzi in provincia di Messina, un piccolo paesino di collina.”
- “E dove vive, in pensione? Paga molto?”
- “Sono in mezza pensione e pago 800.000 al mese, quasi mezzo stipendio.”
- “Sono degli approfittatori, le faccio io una proposta: venga a stare qui da me, la casa è grande ed io sono sola, ho ottanta anni suonati e comincio a soffrire la solitudine… sa, non le costerà nulla.”
- “Signora, lei mi prende un po’ alla sprovvista, non so che dirle.”
- “Ci pensi con calma e se lo riterrà opportuno la stanza è sempre qui e stia tranquillo che non attenterò alla sua privacy, l’avverto però che ho la reputazione di strega che ormai è come un marchio e siccome tutti mi evitano faranno di tutto per tentare di dissuaderla dal venire qui.”
Sorrisi, finii il mio the e poi chiesi incuriosito: “Che tipo di pianta è questa?”
- “Non lo sa? E’ la pianta del pistacchio, il suo nome è Pistacchia.”
- “E non ha frutti?”
- “Oh, non fruttifica mai; è una questione di impollinazione: ci vuole una pianta maschio ogni otto femmine, questa è sola, poverina.”
- “E’ maschio o femmina?”
Lei sorrise, “non lo so, proprio non lo so.”
- “Bene”, risposi, “arrivederci.”
Ripresi a distribuire la posta nel rione delle arti (troppa posta ricevono gli artisti!) senza riuscire a dimenticare quella tenera vecchietta e quel dolce sapore del the caldo, un po’ troppo zuccherato, ma un signore dal fare scorbutico con un grosso porro sul naso mi riportò alla mia triste condizione; ero stanco, sudato e in un posto che neanche conoscevo.
- “Che modi sono questi, alle cinque del pomeriggio, chi cerca… che cavolo rompe… io cerco di riposare e lei suona, non compro nulla, vada via!”
- “Mi scusi io non sono un venditore, sono il sostituto del postino.”
- “Cosa? E distribuisce la posta a quest’ora, mi risulta che si faccia di mattina.”
- “Lo so, ma purtroppo per me non riesco a smaltire il lavoro arretrato e poi non conosco il posto, le vie, le persone: i rioni sono tanti a Pegacity!”
- “Bene”, riprese con un sorriso che mostrò i suoi denti ingialliti dal tabacco, “venga dentro che le offro da bere, avrà certo sete.”
Superai quella soglia come sollevato, aveva cambiato tono, era gentile ed io avevo sete, quel the mi aveva procurato una forte arsura.
- “Ecco, beva”, mi disse davanti una bevanda che aveva il colore di una palude africana. Guardandomi perplesso disse:
- “Beva, beva pure: è un the alla menta, un bel the freddo alla menta di mia produzione.”
Il pensiero corse di nuovo alla vecchietta, ma bevono tutti the qui, pensai mentre cominciavo a bere rassegnato.
Anche in questo caso era la prima volta che bevevo un the freddo, non era una mia bevanda abituale.
Bevvi piano e devo dire che era molto dissetante, mi sentii sollevato e rinfrancato; consegnai la posta e poi me ne andai.
Alla pensione quasi piansero per me appena dissi loro che a fine settimana sarei andato via e proprio lì mi informarono che altre persone che avevano accettato l’ospitalità della strega erano sparite nel nulla: mi dissero che dovevo essere impazzito e per farmi desistere da quell’idea mi abbassarono di 200.000 lire la pensione, dovevo restare lì se volevo restare vivo.
Chiesi la prova di quanto affermavano: per esempio, nessuno lavora per lei, mi riferirono, eppure ha un parco ben curato!
- “Un parco? Un piccolo giardino davanti alla casa”, dissi.
- “No, proprio un parco all’interno della villa”, io ho visto solo la facciata davanti..
- “Una villa con centinaia di stanze, come fa una vecchietta sola a pulirla se non con l’aiuto dei demoni?”
- “Ma fate i seri”, ripresi, “lo fa con l’aiuto di Dio, è in buona salute e non facendo altro può anche farli da sola quei lavori.
Mi portarono la nonna che era coetanea della strega e mi raccontò di strani rumori, strane luci, voci e pianti di bambini sentiti per anni, circa 40 anni prima e a tutte le ore, strani movimenti e ombre notturne poi si susseguono da anni. E poi la spesa che fa!
- “Che cosa compra di così strano?”
- “Rossetti, ombretti, smalti, profumi, scarpe di misura 38, calze, vestiti femminili taglia 50, assorbenti… e l’abbiamo tenuta d’occhio: non si trucca e non ha mai messo nulla di ciò che per anni ha comprato. Fa la spesa per più persone, non può assolutamente mangiare tutte quelle cose!”
- “Beh, ha un gatto”.
- “Compra anche il cibo per gatti e ai tempi che sentivo il pianto comprava cibo per bambini, vestitini, giocattoli come se in quella casa ci fosse davvero un bimbo.”
- “Beh”, dissi io, “non credo che ci sia nulla di così diabolico, sarà un po’ fissata, magari ama la stramberia.
- “Senta”, disse infine la vecchia, “dirò a mio figlio di prenderle solo 500.000 lire per questi due mesi, ma non vada lì nel modo più assoluto.”
Chissà perché io, invece, ho sempre fatto l’opposto di quello che gli altri si aspettavano, fin da ragazzo; così decisi che sarei andato lì, dovevo farlo non per i soldi, ma perché sentivo dentro di me qualcosa che mi spingeva a farlo.
Bussai deciso a quella porta, lei mi aprì con un sorriso.
- “La aspettavo”, disse, “Venga le mostro la sua stanza.”
Dappertutto c’erano mobili, bellissimi stucchi, mosaici e sui muri dei quadri Bellini, però moderni, così chiesi: “Sono belli, ma chi li fa e con quale tecnica?”
- “Si chiama trompe l’oeli, le dirò chi li fa un’altra volta.”
Poi mi portò in quella che doveva essere la mia stanza: un letto, un armadio sempre in stile antico e sulle pareti quadri con ballerine in tutù, copie perfette delle ballerine del grande Degas.
- “Questa è la sua stanza, in fondo a sinistra c’è il salone, ci riuniamo tutti lì per la cena.”
Uscì con un lieve inchino.
Le corsi dietro nel corridoio… “Senta!”, lei si voltò facendo una piroetta.
- “Sì !?”
- “Lei.. lei ha detto ci vediamo tutti?
- “Certo caro, tutti, io, lei e tutti i fantasmi di questa casa”, sorrise e se ne andò.
Mi sentii gelare il sangue nelle vene, un fremito di paura mi assalì, una gocciolina di sudore dalla nuca scese sulle natiche facendomi sussultare; che diamine ripetei a me stesso, scherzava, avrà uno spiccato senso dell’humour.
Disfeci la mia valigia, riposi i capi nell’armadio, udii quasi per caso la musica a bassissimo volume che proveniva dal piano superiore, la solita musica di Mozart.
Mi venne voglia di vedere il salone, così mi mossi in quella direzione. Appena vi entrai, sulla parete centrale vidi un’immensa opera di circa 20 metri per 10, raffigurante una copia in scala maggiore de “I Girasoli” di van Gogh, mentre sulla sinistra un’altra tela raffigurava “Il prosciutto di Manet”, anch’essa però era di dimensioni maggiori, forse 3 metri per 4; tutt’attorno poi c’erano tele con vari dipinti che a prima vista non sono riuscito ad identificare.
Mentre assorto ammiravo quei quadri, in verità perfetti, una dolce voce femminile molto sottile disse:
- “Buonasera, vedo che apprezza i miei quadri”
Mi girai e rimasi senza parole: una donna alta circa 1 m. e 50, sui 30/35 anni, molto in carne, con sandali da francescano, gambe massicce e pelose come quelle di un uomo, con una gonna a pieghe molto ampia a fantasia, un top verde pisello che evidenziava un seno enorme. Il viso sembrava una maschera di Pierrot, ma truccato male e in modo eccessivo: mi sembrò di rivedere l’uomo del the alla menta.
Ero esterrefatto: era una visione, era lui oppure sua figlia con quel porro enorme sul naso?
- “Lei è Nunzio, vero? Piacere, Prisca.”
Ho la reputazione di avere grandi mani, ma le mie le avvolse completamente in una stretta decisa ed energica, poi disse:
- “Ho tanto di quel tempo disponibile che per farlo passare dipingo, lo faccio da quando ero bambina.”
- “E’ brava”, le dissi, “ma fa solo copie?”
- “Oh, no. Amo molto gli impressionisti e li copio, ma ho anche uno stile mio, anzi due per essere più precisa.”
- “Come due?”
- “Venga.”
Mi prese la mano e mi trascinò felice su per le scale, nonostante la mole e le gambe corte e tozze saliva le scale di corsa e mi trascinò dietro a sé.
Giunti al piano superiore mi fece attraversare un corridoio lunghissimo; in fondo, da una piccola finestra, filtrava una tenue luce, fuori era quasi buio.
Dopo aver attraversato ambo i lati e non so quante porte, giungemmo alla meta; spalancò una porta sulla nostra sinistra e mi buttò dentro, poi finalmente mi lasciò la mano che mi faceva un male boia.
- “Guardi, guardi” e volteggiò per l’enorme stanza come una danzatrice da lago dei cigni.
Era una stanza di almeno 50 metri quadri, nel soffitto un’unica opera: un cielo azzurro, credo ci fossero tutti i volatili del mondo nei loro colori migliori. Sulle pareti fiori, insetti, pesci, piante, uno spettacolo; non sapevo dove guardare prima mentre lei rideva felice e solare.
Senza mentire le dissi che era un genio, che era un lavoro meraviglioso.
Mi stampò un bacio sulla guancia.
- “Grazie”, disse d’impeto, “Oh mi scusi, ma sa mai nessuno mi dice che sono brava.”
- “Non fa niente”, risposi.
- “Bè venga adesso deve vedere l’altro mio stile” disse diventando triste e seria.
Uscimmo sul corridoio, la porta di fronte era già aperta: all’interno quadri orribili, mostri, animali, deformi, diavoli, streghe.
Alzai gli occhi al soffitto e vidi un cielo nero e cupo con migliaia di serpenti che mi sembrò stessero precipitandomi addosso, mi prese la paura e una gran voglia di fuggire via.
Ma ero in trappola, lei era sulla porta, ferma, immobile, fissava un punto di fronte a lei, un quadro con dei fiori appassiti e frutta marcia.
Due grosse lacrime le solcarono il viso sciogliendo gran parte del trucco della maschera che aveva disegnata sul volto, fino ad arrivare sul top verde.
Di colpo il top si trasformò da verde in vari colori, quella che arrivò sul pavimento diventò invece una macchia tra il viola ed il rosso sangue in cui sguazzavano come anguille dei vermi orribili, cacciai un urlo!
Lei fuggì via lasciando libera l’uscita, in me rimase solo un pensiero: fuggire via da quella casa.
Saltai fuori e corsi in quel corridoio interminabile; stavo per precipitarmi giù per le scale quando mi si mise davanti un uomo che, vedendomi trasalire, si scusò.
- “Mi perdoni se l’ho spaventata”, disse “non volevo.”
- “Lei chi è?” chiesi.
- “Basco Eutitio, prof. Di disegno, pittore e scultore, piacere. Sa, insegno a Prisca le tecniche, è brava vero? A Parigi i suoi quadri sono ben quotati.”
- “Quali? Quelli con i mostri?
- “Ah glieli ha fatti vedere entrambi?”
- “Sì entrambi”
-
“Sa, lei è il primo al quale lei ha permesso di guardare i
suoi due mondi completamente opposti, quello interiore e quello esteriore,
povera ragazza è sola triste, brutta, anzi orribile.
Ma quanti di noi sono belli fuori ed orribili dentro? Eppure l’aspetto
esteriore domina troppe volte le nostre misere vite.”
- “Lei vive qui professore?”
- “Certo, da 30 anni.”
- “Da trenta anni?”
-
“Si, sa ero un promettente prof. di disegno, ma ero solo
riuscito a fare qualche supplenza quando la signora mi contattò: dovevo
dedicarmi ad una bambina di 10 anni con tendenze artistiche; con una paga elevatissima,
vitto, alloggio e 300 milioni all’anno per 30 anni.
Domani scade il mio contratto.”
- “E anche il mio”, disse una voce dietro di me.
Mi voltai piano e vidi una donna di circa 50 anni, ben curata ma strabica e con il corpo un po’ incurvato.
- “Le presento la dottoressa e professoressa Rufina Maiela, laureata in lettere, lingue, storia, filosofia e qualche altra laurea, nonché mia moglie.”
- “Piacere”, disse “anche io vivo qui da 30 anni e la storia è quasi la stessa, solo che la paga è diversa, la mia infatti è di 500 milioni all’anno; l’unica pecca è stata una norma del contratto che ci impediva di farci vedere dagli abitanti del paese, ma il gioco valeva la candela.”
- “Adesso dobbiamo andare, ricchi e felici, sì felici, ci siamo incontrati qui anni fa e più che altro era la nostra solitudine ad unirci, ma ora ci amiamo davvero.”
- “Come mai adesso ve ne andate?”
- “Prisca ormai non ha più bisogno di noi e poi si sposa e va a vivere a Parigi.”
- “Bene, un bel cambiamento da Pegacity a Parigi, ma sono molto ricchi?”
- “Certo, erano già ricchi di famiglia, una delle caste più antiche della Sicilia, negli ultimi anni hanno guadagnato miliardi speculando in borsa e con azioni varie delle più grosse società mondiali.”
- “Ed il padre di Prisca chi è? Dov’è?”
-
“E’ una brutta storia: molti anni fa un losco individuo del
paese ha abusato della signorina che da quello stupro rimase incinta e
purtroppo Prisca è l’esatta copia del padre. Lei nascose tutto, nessuno è al
corrente dell’esistenza di Prisca, neanche quell’uomo sa di avere una figlia.
Scendiamo ora, la cena sarà sicuramente pronta.”
Giunti nel salone la tavola era imbandita in modo regale. La
signora era felice, seduta a capotavola, mancava Prisca che aveva preferito
mangiare in camera sua.
Mangiammo totalmente in silenzio, si sentiva solo il nostro masticare ed il
rumore delle posate che intonava nell’enorme salone.
Appena finimmo, la signora mi chiese di ascoltarla attentamente per conoscere il motivo della mia presenza lì; agli altri chiese di rimanere per fare da testimoni sia all’accordo sia al matrimonio.
- “A quale matrimonio?”
- “Ma a quello suo con Prisca!”
- “Il mio ?!?”
-
“Si, la proposta è la seguente: lei si sposerà Prisca ed
andrete a vivere a Parigi.
Lei in cambio otterrà un miliardo subito ed un miliardo all’anno per ogni anno
trascorso con Prisca.
Loro saranno i tutori di Prisca: visto che sono i padrini di Prisca, sia di
battesimo che di cresima, saranno anche i testimoni; non vivranno con voi, ma
mensilmente Prisca li contatterà e ne potrà disporre liberamente.
Se non ci saranno figli e lei dovesse sopravvivere a Prisca, sarà tutto suo: un
patrimonio che oggi si aggira sui 340 miliardi. Se invece lei lascerà Prisca o
divorzierà perderà tutto.”
- “Ma… io sono senza parole…”
-
“Bè non dica nulla adesso, starà qui un mese e poi mi darà la
risposta.
Buonanotte, e ci pensi bene.”
Ritornai nella mia stanza dopo aver salutato i professori.
Mille mostri popolarono il mio dormiveglia, finché all’una decisi: non avrei sposato quella povera donna, non avrei rinunciato agli occhi belli della mia Maria, la mia dolce ragazza che avevo lasciato al paese e che non vedevo da due mesi. Non c’erano miliardi che potessero convincermi, di vita ce n’è una sola e bisogna viverla al meglio, forse senza lussi, ma almeno con serenità.
Preparai le valige ed in punta di piedi cercai di uscire; sul portone al buio cercai la maniglia, accovacciato a terra c’era il gatto, non lo vidi ma lo sentii dopo avergli pestato la coda, poiché emise un urlo e mi graffiò una gamba.
In strada respirai forte, finalmente ero libero. Ritornai con passo da maratoneta verso la pensione voltandomi spesso per assicurarmi che nessuno mi seguisse.
Giunto alla pensione fu come tornare alla realtà: due ragazzini fermi su un motorino si baciavano molto teneramente.
Varcai la porta, dietro il banco non c’era nessuno: la chiave della mia stanza era il numero 7, la presi e corsi su. Caddi sul letto esausto e mi addormentai.
Il sole mi svegliò con il suo tepore; guardai l’orologio, erano le 7.20. Uscii sul balcone: davanti a me la campagna appariva rigogliosa.
Scesi giù in fretta, dovevo spiegarmi con i proprietari.
- “Buongiorno, ben alzato.”
- “Ieri sera sono rientrato all’una e, non trovando nessuno, sono andato a dormire.”
- “Come al solito, è normale.”
- “Sa, vorrei riparlarle delle 500.000 lire mensili.”
- “Non so proprio di cosa stia parlando!”
- “Io ho deciso di restare ed accetto la vostra offerta di sconto.”
- “Sconto? Che sconto, di cosa parla, si è alzato strano stamattina.”
Risposi: - “E’ vero, mi scusi, stanotte ho dormito proprio male.”
- “Colpa vostra, voi giovani andate a letto troppo tardi.”
Gli feci un cenno con la mano ed uscii. Procedevo verso la porta confuso… avevo dunque sognato tutto? Dovevo scoprirlo a tutti i costi. Rifeci il giro verso quella casa finché la notai; esisteva! Più mi avvicinavo e più l’ansia mi assaliva.
Giuntovi di fronte vidi l’enorme Pistacchia secca, uno scheletro, attorno la nuda terra senza menta.
Ritornai verso la casa del the alla menta, anche quello faceva parte del sogno o forse era realtà.
Giuntovi trovai una casa diroccata, semicoperta dai rovi e
da un enorme albero di eucalipto.
Lì non abitava nessuno da tanti anni… eppure lo avevo bevuto lì un the alla
menta!
Più confuso che persuaso cominciai a convincermi di aver davvero sognato tutto, ma mentre smistavo la posta, nel raccogliere delle buste che mi erano cadute, notai la mia gamba graffiata…