L'uomo che sogna
© Massimo Viola
Mi è tornato in mente il caso del grande sognatore.
Negli anni Cinquanta le pagine dei giornali traboccavano di articoli
sull'inspiegabile fatto di cui fu protagonista. Poi tutto cadde nel
dimenticatoio. Era estate, credo. Un uomo e una donna sono
seduti su una panchina ai bordi di Central Park. Manca ancora qualcosa
al tramonto, l'uomo e la donna parlano tra loro, a volte
l'uomo stringe la mano della donna, la donna si volta verso l'uomo e
sorride. L'uomo è Jimmy Golddream: indossa un vestito
grigio e un cappello con la tesa. L'attenzione della donna è attratta
da una bambina che pattina, avanti e indietro, sul vialetto
vicino alla panchina. Per pochi minuti non pensa ad altro: la vede e
forse si rivede, e magari, per quella sorta di allucinazione
creata dal tempo, ripensa a com'era diverso, e meglio, quand'era bambina
lei. Si volta verso l'uomo. Forse vuole chiedergli se
anche lui ha la stessa impressione del tempo: che sempre si perde qualcosa,
andando avanti. Ma l'uomo non risponde.
La donna lo prende per il braccio, lo scuote, alla fine si mette a gridare.
L'uomo rimane imperturbabile, ha gli occhi aperti eppure
non risponde e non si muove. Si forma un gruppo di curiosi attorno alla
panchina. Ma Jimmy Golddream non si scompone:
rimane immobile nella posizione che tiene da mezz'ora, senza accennare
un movimento. I medici dovettero ammettere che era
vivo: respirava e aveva attività cerebrale, non si poteva parlare di
coma. Eppure, per quanto si cercasse di stimolarlo, anche, per
dire, con la fiamma di un accendino, non manifestava la minima reazione:
si era per sempre fissato in uno degli istanti che aveva
vissuto sulla panchina. Secondo i medici sognava. Nessuno, naturalmente,
seppe spiegare com'era possibile che continuasse a
vivere senza mangiare o bere o altro. Ma una volta giunti alla conclusione
che tuttavia viveva, si scatenò un dibattito su che
farne. Inutile dire che avevano tutti una gran voglia di farlo a pezzi
per capire cosa gli accadesse dentro, ma non si poteva.
Per un po' lo tennero i familiari, e ci fecero dei bei soldi. Trovò
poi alloggio in una confortevole teca, coi buchi per l'aria, al
Museo di Storia Naturale, e fu infine spostato al Metropolitan Museum
of Art, a due passi dalla famosa panchina, perché
qualcuno pensò che era meglio considerarlo un'opera d'arte, piuttosto
che un fenomeno biologico.
A quanto ne so, è ancora lì.
Se vi capita di passarci, andatelo a trovare: gli farà piacere.
La pagina di Massimo Viola in:
http://www.liberosesso.it
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